01/12/15

Linguaggi universali

Mio padre e mio fratello guardano il televisore, io guardo loro. Guardano una partita di calcio.
Non me ne frega niente della partita.
Ma mi piace stare qui, a guardarli. Sento che in qualche modo questo divano condiviso e quegli omini sullo schermo ci stanno unendo.
E immagino migliaia di sorelle che guardano una partita di calcio con i fratelli.
Immagino milioni di bambini che inseguono un pallone, li ho visti rincorrerne uno nelle calli di Venezia, sull'altipiano boliviano a 3500 metri, tra le semidetached houses di Liverpool, sulle spiagge di Rio; in questo momento un ragazzino deve rincorrere un pallone in Ghana, in Giappone, in India, a Sydney, al Cairo, ovunque.

Stiamo diffondendo i linguaggi universali sbagliati, l'odio, il terrore. Ci dimentichiamo di quelli che uniscono, lo sport, la musica, l'arte, tra gli altri. Di quelli che promuovono l'empatia tra i popoli e non l'intolleranza. Per questo ci ritroviamo con un'umanità fracassata, che va frantumandosi anno dopo anno, guerra dopo guerra, attentato dopo attentato. È il caro, vecchio "mettete dei fiori nei vostri cannoni": diamo un pallone o un tamburello ai bambini, invece dei fucili. È semplice, no?

G.G. (Rio de Janeiro, 25 novembre 2015)

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