Stanca morta, tornava a casa dalla solita lunga giornata di lavoro. Seduta
sul sedile di plastica della metro, ascoltava le noiose conversazioni degli
altri e osservava le fermate passare, conosceva a memoria tutta la linea
gialla. Era salita ad Affori, si addormentò a Zara. La sua fermata,
Repubblica, passò senza che se ne rendesse conto. Qualcuno la risvegliò al
capolinea, lei imprecò, prese il treno sulla piattaforma opposta. Quando arrivò a
Duomo decise che per una volta sarebbe scesa lì e avrebbe continuato a piedi, passeggiando tra le luci del centro, tanto nel suo triste appartamento non la
aspettava nessuno per cena. Passò accanto a un bar di specialità pugliesi,
decise di entrare e cenare lì, qualsiasi cosa pur di rimandare la sua splendida serata davanti alla TV. Il cameriere era un argentino alto, castano, dai tratti
un po' indigeni, bello come il sole della loro bandiera. Le sorrise, le si
avvicinò, lei ordinò arrossendo.
Erano circa le 8 di un martedì sera qualunque,
quando si innamorò a prima vista. Era l'unica cliente nel bar, e Pablo, il
cameriere, si trattenne a chiacchierare con lei. In 15 minuti lui si presentò, le
disse che era musicista, di Buenos Aires, ma aveva vissuto dieci anni a Salta, suonava
musica popolare del nord dell’Argentina. Aveva il passaporto italiano e aveva
deciso di fare un'esperienza in Europa, ma sarebbe tornato al suo paese tra un
anno, massimo due. In quei 15 minuti lei lo ascoltò, si innamorò ancora di più, poi compresse la
sua esistenza in poche frasi. «Non ti piace questa città, vero?» aveva chiesto
lui. «No, si vede?». «Vieni via con me?», sorriso ebete di entrambi. Nei 10 minuti
successivi lei si lasciò trasportare dai racconti di lui, si immaginò a Buenos
Aires, a Salta e in Patagonia, si sentiva anche molto stupida, ma in fin dei conti sognare per 25 minuti non
costava nulla. Conto, portafoglio, penna che scivola dalla tasca, numero scritto sul tovagliolo del
bar. «Guarda che ti chiamo, domani sono libero, potremmo cenare insieme»,
«Sì, mi farebbe piacere. Ciao!», «Ciao!». Altri sorrisi, porta che si apre, porta che si
chiude, lei che vola sul marciapiede con ancora il sorriso ebete stampato sulle labbra. Ancora qualche centinaio di metri e sarebbe arrivata al suo appartamento, sapeva che quella sera sarebbe stato meno triste.
Qualcuno la urtò con forza sulla spalla. Lei aprì gli occhi. Centrale. Appena in tempo,
La prossima è la mia.
G.G. (Maremma Toscana, Grosseto, 19 aprile 2015)