07/04/15

Diario



Che città maledetta. Tetti troppo bassi, luce troppo fioca, aria viziata, greve, stagnante.

I visi pallidi e inespressivi che procedono dinnanzi a me senza vedermi sono il frutto perfetto del luogo marcio in cui sono nati. Siedo sulla soglia di casa e li osservo. Io sì che li vedo. Anch’io, come loro, sono cresciuto imprigionato in questa città, e come tutti i suoi abitanti, sono malinconico e meditativo. Vivo incollato alle pagine di questo diario, l’unico spazio aperto in un mondo claustrofobico. Mi faccio domande in continuazione, e le faccio anche a te. A cosa pensi, lettore, quando sei perso nei tuoi pensieri? Come ti disperi, lettore, quando hai toccato il fondo e la disperazione non è più sufficiente? Credi davvero che l’amore possa essere la salvezza dell’anima? Ti è mai capitato di rincontrare una persona dopo otto anni, e doverla conoscere di nuovo? A me sì, proprio la settimana scorsa. Pazzesco. Cambiamo così tanto, eppure rimaniamo sempre noi. No? Siamo sempre noi stessi in fondo all’anima, la vita e le scelte che prendiamo non ci possono mai cambiare del tutto. Eppure non siamo più noi, dieci anni dopo non siamo più noi. E l'amore non ci ha salvati, ma la disperazione non ci ha annientati.

Siamo esseri pazzeschi. 

Tu ci pensi, lettore, come doveva essere il mondo più di mille anni fa, prima della glaciazione? Pare si vivesse all’aria aperta, che ci fosse il vento, la pioggia, il sole… Io venderei un rene per vedere il sole. Tu no? O sei convinto che questo posto miasmatico e buio in cui viviamo sia giusto per te? Sei felice qui? O preferiresti vedere il sole senza che ti si ghiaccino le palle appena uscito dalla grande botola? Forse mille anni fa agli esseri umani bastava vedere la luce del sole per essere felici di vivere. O forse siamo dei pazzeschi esseri malinconici per natura, forse non ci basterebbe mai niente, nemmeno la luce del sole.

G.G. (Berlino, 6 aprile 2015)

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