10/05/15

Dresda



La radiosveglia attaccò alle 7:26, aveva l’abitudine di programmarla a orari anticonvenzionali. Pensò di stare ancora sognando, la radio gli parlava in tedesco. Da anni ormai non parlava più quella lingua, ma qualcosa nel cervello doveva essergli rimasto, nel dormiveglia riusciva a distinguere i duri suoni teutonici e a separare le parole. Si discuteva della prima pagina del tabloid tedesco Das Bild, che un giorno dopo la nomina di Ratzinger titolava a caratteri cubitali Wir Sind Papst, siamo papa. Gli parve strano, nei primi secondi post-risveglio, che ancora se ne parlasse. Aprì gli occhi, sonnolenti, allungò il braccio verso il comodino e spense la radio con qualche difficoltà, non riusciva a trovare il pulsante. In quel momento si accorse della stanza. Non era buia, era solito dormire con le tapparelle completamente abbassate, la luce del giorno appena cominciato filtrava dalle tende sottili e illuminava i mobili e i quadri della sua camera da letto di Dresda, in cui aveva vissuto molto tempo prima.

Rimase sdraiato per un tempo indefinito, la stanza era piena di oggetti non suoi. Si alzò barcollando, non aveva senso, non viveva più a Dresda da almeno dieci anni. Aveva sognato i dieci anni o stava sognando ora la stanza? Andò verso la porta e la aprì, ricordava benissimo che il bagno, con le piastrelle azzurro pastello, era sulla destra. Era ancora lì. Entrò in bagno e si lavò la faccia, gli veniva da vomitare. Non fece in tempo a guardarsi intorno, non si guardò nemmeno allo specchio, perché fu proprio allora che sentì il pianoforte. Qualcuno stava suonando un movimento della Suite Bergamasque, qualcuno che doveva essere in quella casa, in un’altra stanza, il suono era troppo nitido e vicino. Trascinò i piedi fino al corridoio, lo percorse ansimando, passo dopo passo, una mano appoggiata alla parete come a sostenersi, passo-mano che striscia-passo, sapeva che la sala con la cucina e il pianoforte era lì, sulla sinistra. E dalla soglia la vide. Vide le sue mani sui tasti, i capelli neri, scompigliati, gli occhiali, il pigiama ridicolo, quello verde a maniche lunghe. Era lei, ed era lì, di profilo. Aveva veramente sognato tutto? Il tradimento, la separazione, il trasloco, gli anni passati a dimenticarla, a parlare una lingua diversa. Lei era lì al pianoforte, suonava proprio quel brano, e la colazione era in tavola.

G.G. (Misano Adriatico, Rimini, 8 maggio 2015)

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