03/03/15

Simboli



Il gatto miagola, miagola.
«Che c’è, Behemoth?» chiedo.
Comincia a tampinarmi con una zampa, continuando il miagolio furioso. Mi alzo per dargli da mangiare, ma scuote la testa, lo giuro, scuote la testa. Mi lascio cadere sulla sedia, mentre lui miagola e indica con la zampina la porta. Come un burattino, mi alzo e la apro.
«È questo che vuoi? Vuoi uscire?» Behemoth annuisce e poi con la testina mi fa cenno di seguirlo.
Chiudo la porta dietro di me e lo seguo in giardino. Lui trotterella fino ai pini in fondo al prato, con me alle calcagna, si infila sotto a un pino – cosa che faccio anch’io – e lì sotto trovo il gatto che mi guarda soddisfatto e un cinghiale imprigionato in una trappola.
«Il gatto è suo?»
«Sì, è un grande gatto nero, ce l’ho da 5 anni».
«E il cinghiale di che colore era?»
«Come di che colore era? Marrone».
«Le sembrava pericoloso, inferocito?»
«Ah sì».
«Le sembrava arrabbiato con il gatto?»
«Sì».
«Continui».
Il cinghiale si dimena, cerca di azzannarmi, non so come fare per liberarlo, ma ho anche paura a farlo e…
«Mi scusi, Micheletti, sono le 17, ho un altro paziente».
«Ah. E non me lo dice cosa vuol dire?»
«Ne parliamo alla prossima seduta. Ascolti i suoi istinti selvaggi, Micheletti, li ascolti…»

G.G. (Napoli,  28 febbraio 2015)

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