Il gatto miagola, miagola.
«Che c’è, Behemoth?» chiedo.
Comincia a tampinarmi con una zampa, continuando il miagolio
furioso. Mi alzo per dargli da mangiare, ma scuote la testa, lo giuro, scuote
la testa. Mi lascio cadere sulla sedia, mentre lui miagola e indica con la
zampina la porta. Come un burattino, mi alzo e la apro.
«È questo che vuoi? Vuoi uscire?» Behemoth annuisce e poi con
la testina mi fa cenno di seguirlo.
Chiudo la porta dietro di me e lo seguo in giardino. Lui
trotterella fino ai pini in fondo al prato, con me alle calcagna, si infila
sotto a un pino – cosa che faccio anch’io – e lì sotto trovo il gatto che mi
guarda soddisfatto e un cinghiale imprigionato in una trappola.
«Il gatto è suo?»
«Sì, è un grande gatto nero, ce l’ho da 5 anni».
«E il cinghiale di che colore era?»
«Come di che colore era? Marrone».
«Le sembrava pericoloso, inferocito?»
«Ah sì».
«Le sembrava arrabbiato con il gatto?»
«Sì».
«Continui».
Il cinghiale si dimena, cerca di azzannarmi, non so come
fare per liberarlo, ma ho anche paura a farlo e…
«Mi scusi, Micheletti, sono le 17, ho un altro paziente».
«Ah. E non me lo dice cosa vuol dire?»
«Ne parliamo alla prossima seduta. Ascolti i suoi
istinti selvaggi, Micheletti, li ascolti…»
G.G. (Napoli, 28 febbraio 2015)
G.G. (Napoli, 28 febbraio 2015)
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